Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
Aut pati aut mori
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 282, p. 3
Data: 27 novembre 1955


pag. 3




   Negli uomini — intendo negli uomini presenti a se medesimi, sensibili e pensanti — esistono due sentimenti antagonisti ma egualmente vigorosi e tormentosi, egualmente tenaci e penaci: il tedio della vita e l'orrore della morte.
   La vita comune, con le sue monotone sequenze di piaceri corti e di sofferenze annose, di seccaggini e delusioni, di pene non sempre meritate e di fatiche di rado ricompensate, di speranze tradite e di decadenze inattese, di rare novità e di ripetizioni continuamente ripetute, finisce col dare un'insopportabile sensazione di noia, di oppressione. d'inutilità, di vuoto, di malinconia inguaribile.
   Ma d'altra parte, la prospettiva della fine, dell'agonia, dell'abolizione dell'io, della calata nella fossa, dell'inabissamento nella tenebra, nel mistero, nel nulla, nell'inconoscibile eternità, ispira a momenti nell'uomo, anche nel più munito di forza e di fede, il timore, il tremore, il terrore.
   L'uomo, dunque, a vivere si annoia e di morire si spaventa; l'esistere gli sembra un fastidioso peso ma l'idea del non esistere lo atterrisce. Lo spaventa la vita ma lo spaventa ancora di più la morte.
   Gli uomini tentano di sormontare o di scordare questo tremendo dilemma a forza di ubriachezze, fisiologiche e metafisiche, materiali e spirituali. Le più conosciute e ricercate sono: l'amore in tutte le sue forme, da quelle bestiali a quelle intellettuali; l'arte, l'entusiasmo, le passioni bellicose e agonistiche e tutti i giochi, tutte le bevande e tutte le droghe e tutte le pazzie di moda, da quella della velocità a quella incendiaria e sterminatrice. Ma le ubriacature non riescono a riempire tutte le giornate. a colmare interi anni, ad attutire i colpi dell'avversità, a nascondere le vergogne e le infamie, a far dimenticare tutti gli affanni. E poi, anche le ubriachezze conducono all'assuefazione o alla totale rovina, sicchè finiscono col perdere la loro efficacia.
   Se prevale nell'uomo l'orrore della morte, egli si riduce a una rassegnazione forzata che mal dissimula la disperazione; se invece prevale il tedio della vita, se ne libera col suicidio. Tra questi due termini paurosi oscilla dolorosamente gran parte degli credi di Adamo. Rare sono le anime che sanno amare la vita anche nelle sue foscaggini e nelle sue ferite. Rarissime le anime che non desiderano mai la morte ma neppure la temono.


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